Villains LTD

 

#10

IMITATION OF LIFE

 

New Jersey, contea del Sussex, dieci di mattina.

L’Agente Kellermann suona il campanello ed inganna il tempo osservando la casa. E’ piuttosto anonima per essere una villa di tre piani costruita a sei chilometri dal più vicino centro abitato. L’unica cosa strana sono le sbarre dorate alle finestre.

La porta si apre. L’Agente si trova di fronte un uomo sulla cinquantina, leggermente stempiato e quasi più in forma di lui.

-Il Professor Augustus DeCeyt, suppongo. Agente Kellermann, FBSA. Potrei farle alcune domande ?

-Mi segua – risponde il professore, in tono formale.

Per deformazione professionale, Kellermann osserva attentamente anche l’interno della casa. Legni e marmi sono perfettamente lucidati, ed il mobilio è pressoché inesistente. Le pareti sono ricoperte di cornici, ma non c’è tempo per farci troppa attenzione.

-Bella casa – dice per rompere il silenzio di ghiaccio portato avanti dal professore.

-L’acquistò mio padre appena arrivato in America; era un manicomio, e prima ancora ospitava una loggia massonica.

-Deve volerci molto per tenerla pulita…io non trovo mai il tempo neanche per rifare il letto del mio monolocale.

-Uno dei vantaggi della pensione è avere più tempo a disposizione di quello che serve, Agente Kellermann. Venga, questo è il mio studio.

La stanza è enorme. Tre pareti, alte quasi cinque metri, sono interamente ricoperti di libri. Al centro, un’unica scrivania circolare ricoperta di appunti, registri e sette computer senza fili. Il professore si siede al centro, e Kellermann usa l’unica altra sedia della stanza.

-Le piace leggere, eh ?

-Li ho scritti io – risponde distratto, quasi annoiato, il professore.

-Che cosa ?

-I libri. Tutto quello che veda in questa stanza ? Li ho scritti io, pubblicati e non.

-Sta scherzando, vero ?

-No.

-E’ un qualche tipo di umorismo universitario ?

-Li ho scritti tutti tra i ventitré e i ventiquattro anni. Ne pubblico uno al mese circa, sotto 36 pseudonimi diversi. Può controllare, se vuole.

-Wow. E’…wow. E di che parlano ?

-Finora ho pubblicato solo argomenti tratti dalle mie tesi di laurea. Economia Aziendale, Fisica, Chimica, Biologia, Archeologia, Criminologia, Marketing, Economia Politica, Filosofia…

-Quante…

-Tredici, senza contare le dieci lingue straniere. Cosa voleva chiedermi, agente Kellermann ? A parte i diritti d’autore, non ritengo di possedere qualità sufficientemente super-umane da interessare l’FBSA.

-Vorrei che mi parlasse di suo fratello, professore. Cosa sa dirmi di Caesar DeCeyt ?

Il professore incrocia le gambe e si appoggia allo schienale della poltrona, aspettando qualche secondo prima di parlare. Nello studio c’è un silenzio totale.

-Non ho contatti con mio fratello da quando avevo sei anni, agente Kellermann. Tornò in Inghilterra per lavorare con i servizi segreti e non ne ho più saputo nulla.

-Che tipo di lavoro ?

-Anche a mio fratello piaceva scrivere. Spedì una lettera di quaranta pagine al direttore dell’MI-5 dove esponeva le sue previsioni sul comportamento della parte super-umana della razza umana. I miei genitori furono contattati dal governo e lo lasciarono andare; l’unica altra volta in cui ebbi sue notizie fu in occasione delle mie nozze, per cui mi fece avere le sue congratulazioni.

-Nient’altro ?

-Nient’altro.

-E’…è una storia un po’ strana, se ne renderà conto.

-Lei non conosceva mio fratello, agente Kellermann. Era molto intelligente, molto cerebrale e per ragioni per me incomprensibili, molto legato al Regno Unito.

-Suo padre era inglese, vero ?

-Tra le altre cose. C’è altro, agente Kellermann ?

-Dovrebbe essere lei a dirmelo, professore. Ho tentato le vie ufficiali per avere notizie di suo fratello, ma oltre al suo certificato di nascita questa conversazione è la prima conferma che ho della sola esistenza di un Caesar DeCeyt.

-Quello che lei trova strano io lo ritengo naturale, considerata la nostra storia.

-“Nostra” ?

-Se lei vuole capire qualcosa della situazione di mio fratello, agente Kellermann, deve capire la storia della nostra famiglia. L’influenza della tradizione familiare, per un DeCeyt, non è mai trascurabile. Vuole seguirmi ancora ?

Il professore si alza in piedi, seguito da Kellermann, ed esce dallo studio.

 

I due uomini salgono al secondo piano, e stavolta Kellermann fa in tempo ad osservare le cornici. Contengono delle pagine di libri, vecchi forse di cent’anni.

-Brani selezionati di sir Arthur Conan Doyle – spiega DeCeyt, senza voltarsi a guardarlo. Eppure è proprio la risposta alla domanda che Kellermann voleva fare.

Al secondo piano c’è un altro salone, più piccolo dello studio ma decisamente ampio. Non ci sono finestre, e l’unica fonte di luce è un camino acceso.

Le pareti sono ricoperte di armi d’epoca in perfetto stato.

Ci sono due poltrone nella stanza, ma DeCeyt resta in piedi a guardare il fuoco del camino. Kellermann è al suo fianco.

Il professore fa un’altre delle sue interminabili pause, poi comincia a parlare. Il suo tono di voce si fa un po’ meno monotono.

-La mia storia inizia nel 1799, nelle Indie. Secondo quello che mi è stato raccontato, in una notte d’estate. Sotto il più violento monsone mai ricordato dagli uomini di quella provincia. Mentre le forze della natura distruggevano ogni cosa creata dall’uomo in un piccolo villaggio ancora lontano dalla civiltà, una donna incinta si mise a pregare. Come in uno sceneggiato televisivo, questo era il momento scelto per il parto.

Suo marito, la sua famiglia erano morti. Attorno a sé non vedeva altro che distruzione. E pregò tutti gli dei che suo figlio non soffrisse. Mai. E fu accontentata proprio mentre il suo dolore cessava.

Il giorno dopo suo figlio… il mio quadrisnonno… si svegliò orfano, in un villaggio distrutto. Si prese cura di sé nelle ore successive, fino a quando non arrivò qualcuno a soccorrerlo. Con grande sgomento dei suoi soccorritori, il bambino non piangeva e non urlava. E non lo fece mai.

-Beh, forse era piccolo, ma lo shock…

-La natura del piccolo non tardò ad emergere. Per essere brevi, era nato con la più totale incapacità di provare emozioni.

-Prego !?

-Capisco il suo sgomento; le genti dell’epoca non erano in grado formulare una diagnosi così semplice. Fu il mio stesso quadrisnonno a capirlo.

-Non è quello che volevo dire…

-Come spesso comporta la mancanza di empatia… il non potersi rispecchiare nelle emozioni degli altri… questo portò ad comportamento antisociale. Il mio antenato crebbe fuori da tutti gli schemi sociali e gli fu dato il nome di Ashok, “colui che è senza risentimento”. Non ebbe nessun cognome fino a quando non si fece notare per le sue attività illegali, entrando nei “briganti”…i “dakait” della zona. Così, almeno, mi è stata raccontata l’origine di Ashok Dakait, mio quadrisnonno.

-Mi chiedevo da dove venisse un cognome dal suono così...

-Strano ? E’ tradizione, per la mia famiglia, che ogni figlio scelga la propria vita in un paese diverso da quello del padre. Germania, Russia, Belgio, Inghilterra… non c’è da stupirsi che, nell’arco di un paio di generazioni, l’esotico Dakoit si sia mutato in Dacoit, DeCoyt e normalizzato poi in DeCeyt. Strano ? La mia famiglia è fatta di stranezze, agente Kellermann. Guardi lei stesso…

 

Animato da una foga impensabile, DeCeyt esce a lunghi passi dalla stanza e si dirige verso quella adiacente, piccola ma altrettanto priva di luce. Solo la luce di una lampada al neon illumina i ritratti ad olio appesi alle pareti; non c’è assolutamente nient’altro in tutta la stanza.

-Queste sono copie, naturalmente. Gli originali sono, per me, tra le opere umane più importanti. Non esistono fotografie dei miei antenati, e questi ritratti sono tutto ciò che mi lega a loro.

-Le assomigliano…

-Chiaramente. Le maledizioni di famiglia sanno essere gloriosamente sottili, agente Kellermann.

-“Maledizioni” ?

-Ashok formulò una teoria, mai scritta e solo tramandata. Giurando di non farlo mai soffrire, gli dei lo avevano posto oltre il proprio controllo. Così non poterono negargli di trovare una donna altrettanto geniale ed amorale, né di generare un figlio che non potesse deluderlo. Ipotizzò che, per non spezzare mai il circolo, ognuno dei suo discendenti dovesse avere un solo ed unico figlio, esclusivamente con una donna che ne fosse il complemento perfetto. Era solo una teoria; un’altra asseriva che, attraverso una insana dedizione, i discendenti potessero creare la maledizione. E come i suoi discendenti hanno pienamente dimostrato, qualunque delle due tesi sia avvalorabile, aveva ragione.

-Mi sta dicendo che lei è incapace di soffrire, professore ?

-Sto dicendo che, come ogni discendente maschio della mia famiglia negli ultimi duecento anni, sono nato nella più totale incapacità di provare qualunque tipo di emozione. Le va del the, agente Kellermann ?

 

Tornato alla solita flemma, DeCeyt cammina verso la sala del camino. Sposta leggermente uno dei mattoni a vista che lo compone, e dall’altro lato si apre una piccola apertura contenente un microscopico distributore automatico.

-Professore, non vorrei essere brusco, ma ho bisogno di informazioni concrete su suo fratello e non di queste buffonate gotiche.

-Sono capace di umorismo, se costretto, ma non è questo il caso. Non parlo con tanta facilità della maledizione di famiglia. Non che la consideri tale, ovviamente.

-Non mi sembra questo gran vantaggio…

-Perché crede che sei generazioni di uomini e donne abbiano portato avanti tutto questo ? Anche le maledizioni di famiglia possono essere quantificate statisticamente. L’assenza di distrazioni emotive eleva le capacità intellettive dell’ottocento per cento. E, apparentemente, l’intelligenza del figlio è sempre almeno il doppio di quella del padre. Le ho già detto che il mio trisnonno risolse il teorema di Fermat prima di imparare a camminare ? Siamo andati avanti, da allora.

-Questo non spiega…

-Spiega tutto – risponde, quasi rabbioso, il calmo professore – Mio padre ebbe due figli. Io sono il secondo.

-E allora ?

-Ripensi alla tradizione di famiglia, agente Kellermann. Gli dei potevano sopportare la spocchia di un singolo uomo per generazione, ma generare un secondo figlio con l’intenzione di forzare ulteriormente la maledizione dev’essere stata l’ultima goccia.

-Non capisco dove vuole arrivare con questa cosa…

-Interrompo la tradizione di famiglia, sono nato sprezzante delle regole. Chi troppo vuole nulla stringe, no ? Immagino che gli dei abbiano voluto vendicarsi di due secoli di inganni, e diedero a mio padre più di quanto volesse. Desiderava un figlio senza emozioni ? Bene, ora ne avrebbe avuto uno senz’anima… io.

-Sembra parlare di suo padre con un certo astio. Non è stato lui a lasciarle la sua fortuna ?

-No, l’ho fatto assassinare e ho convinto mio fratello a rinunciare all’eredità. Avventato, forse, ma all’epoca avevo solo quattro anni.

-Professore, la sua è una storia passabile per un brutto romanzo, ma siamo seri…

-Fu il mio primo esperimento sociale. Avevo appena finito di leggere “L’Ultimo Problema” di Sir Arthur Conan Doyle, le pagine che cambiarono la mia vita. La conosce ? E’ la storia dove muore Sherlock Holmes. Muore dopo un’ammirevole scontro di intelletto con l’unico uomo al mondo alla sua altezza… il Professor Moriarty, il Napoleone del Crimine. Non sogghigni, c’è chi sostiene che questi uomini sono realmente esistiti. In un’epoca in cui il Dio del Tuono norvegese cammina per le nostre strade, può anche darsi. Chissà anche che non esista un flebile rapporto di parentela tra noi. Nulla lo nega.

-Beh, se questo Napoleone del Crimine è realmente esistito, pare che qualcuno voglia fare di più. Si vocifera che a capo della Villains LTD ci sia un autoproclamatosi Imperatore del Crimine…

-Napoleone era un Imperatore, per quanto sopravvalutato.

-Il professore è lei. Questa cosa di Sherlock Holmes mi interessa, se l’Imperatore si è veramente ispirato a quella roba. Vada avanti…

-Nel racconto, Moriarty è al tempo stesso un austero professore di matematica ed il più efficiente e spietato signore del crimine che Londra possa sperare di avere. A quattro anni, senz’anima e con un cervello formidabile, non potevo fare a meno di chiedermi perché. A Moriarty non importavano i soldi, il potere, la conquista. Nemmeno lo stimolo intellettivo, od avrebbe fatto di tutto per continuare il duello con Holmes.

-Venga al dunque, Professore, non sono venuto qui per parlare di letteratura...

-La mia idea fu semplice. Moriarty si era messo in una posizione perfetta per studiare l’equazione umana. Coordinando, studiando la parte più infima dell’uomo.

-Per questo avrebbe ucciso suo padre ?

-No, questo è il motivo per cui ho fondato la Villains LTD. Uccisi mio padre solo per dimostrare di non avere un’anima, qualunque ne sia la causa scatenante. Ebbi la cura di assistere personalmente all’assassinio, nell’improbabile caso di voler catturare il suo assassino e diventare un dispensatore di vendetta. Ma, ahimé, i miei piani funzionavano già allora.

 

Se Kellermann pensava che quello dei minuti precedenti fosse un silenzio di tomba, si è ricreduto. Alla temperatura a cui è appena scesa la stanza gelerebbe anche l’Inferno.

-Lei avrebbe fondato la Villains LTD, professore ?

-Sì.

-E sarebbe questo Imperatore ?

-Saltuariamente, anche se ho svariate altre identità di comodo e dei sostituti.

-Professore, è stata una bella chiacchierata, ma se non voleva prendere sul serio le mie indagini bastava dirlo.

-Crede che non stia dicendo la verità ?

-Ascolti, posso non essere un genio come lei…ma per favore, non insulti la mia intelligenza dicendo di essere nato senz’anima e di aver commissionato dozzine di furti, omicidi, stragi ed atti di terrorismo solo per comprendere il comportamento umano.

-Non è questa l’impressione che volevo darle. Ma è libero di pensare ciò che vuole. Non vuole sentire la fine della storia di famiglia ?

-Non vorrei risvegliare brutti ricordi…sua moglie…

-Dimentica che non ho un’anima che possa essere ferita. A quindici anni…sono sempre stato precoce, se non si fosse intuito… trovai la donna adatta per generare un figlio. Era rischioso…avevo già infranto la tradizione di famiglia solo nascendo, ma le possibilità erano intriganti. Si chiamava Livia, come la moglie dell’imperatore Augusto di cui porto il nome.

Per l’ennesima volta, il professore cambia atteggiamento così rapidamente da shockare Kellermann. Fino a pochi istanti fa era sorridente e arrogante, ora…triste ?

-Ancora oggi, ogni tanto mi chiedo… fu il mio stato di uomo senz’anima ? O scelsi la moglie sbagliata ? Diede alla luce Tiberius. Dopo tanti uomini senza emozioni ed uno senz’anima, ora tra i DeCeyt viveva anche un uomo nato senza cervello. Un vegetale. Non mi curai neanche di eliminare la sua esistenza dall’anagrafe.

-Credevo che sua moglie fosse morta di parto…

-No. Le tagliai la gola per aver sorriso alla nascita di nostro figlio…ripensandoci, era chiaramente inadatta a generare un DeCeyt.

Kellermann fissa il professore negli occhi, notando che non sbatte mai le palpebre e che c’è qualcosa di…vuoto, nel suo sguardo.

-Forse non seguo il suo discorso, ma mi sta confessando l’omicidio a sangue freddo di sua moglie e suo figlio ?

-Sintetico ma corretto.

-Ora un the non mi dispiacerebbe – risponde Kellermann mettendosi le mani tra i capelli e sedendosi sulla poltrona.

 

DeCeyt sorride e gliene porge una tazza, che aveva appoggiato sul camino fin dall’inizio. Kellermann non l’aveva notata, e la prende in mano. Si è già raffreddata quanto basta, ed inizia a berla lentamente mentre DeCeyt parla.

-Vede agente Kellermann, nascere senz’anima e senza emozioni mi ha portato molti vantaggi, ma mi pone dei limiti. Ci sono cose che non potrò mai sperimentare di persona. Non solo perché attualmente non posso, ma perché perderei la mia obiettività se provassi un qualsiasi tipo di emozione. Sono un corpo che si muove, un cervello che pensa, e nient’altro. Oh, ho studiato il comportamento umano. So manipolarlo discretamente. Ma comprenderlo è oltre le mie possibilità. Così diedi uno scopo alla mia vita che non è una vita. Coltivai la mia mente sino a renderla la più pericolosa sul pianeta. Curai attentamente il reclutamento e la formazione di coloro che sarebbero diventati sia strumenti che oggetti d’indagine… un’indagine intenta a portare a termine il mio sogno: spiegare il comportamento umano in tutte le sue forme. Vede, agente Kellermann , gli agenti della Villains LTD sono stati scelti non solo per le loro qualità strategiche, ma anche per qualità e difetti umani da studiare. Sono uno studioso, e sogno l’umanità come oggetto d’indagine.  Impossibile ? Chi può dirlo. Anche un uomo nato senz’anima può avere un folle ideale da seguire. Ma questo dovrebbe averlo già capito, no ?

 

La tazza da thé, in ceramica infrangibile, cade a terra. Il corpo dell’agente Kellermann si adagia scomposto sulla poltrona, la bocca aperta e gli occhi fissi.

-Lei ha ingerito un farmaco di mia invenzione, agente Kellermann. Non ho la preparazione scientifica per produrlo, ovviamente, ma è stato sviluppato in seguito a certe mie direttive. E’ un potente agente chimico che blocca le funzione motorie volontarie del corpo umano, ma non gli organi di senso. Lei non potrà più muoversi o parlare, agente Kellermann. Ha perso il senso del tatto, ma può sentire e vedere tutto. Si rassereni, non ho intenzione di farle del male. La trasferirò in un rifugio segreto in Alaska, dove sarà tenuto in vita da un sistema totalmente automatizzato ed avrà sotto gli occhi le trasmissioni dell’intero pianeta, filtrate da un programma di mia ideazione. Ho fatto in modo di non essere l’ultimo testimone a poterla dire ancora in vita; ufficialmente, dopo la nostra chiacchierata mattutina, lei è andato a Trenton dove è stato visto in quattro circostanze diverse. Scomparirà ufficialmente tra una settimana.

Augustus DeCeyt finisce di bere il suo the e raccoglie da terra l’altra tazza, rimettendo entrambe nel distributore.

-In breve, le dimostrerò cosa significa dover essere imparziali nell’osservare il mondo. Questo risponde alle sue domande, agente Kellermann  ?

 

FINE ?